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lunedì 9 novembre 2020

Cena delle Due Insalate Fresca e Tiepida


Una delle cose che preferisco fare, quando cucino, è tagliare le verdure. Tiro fuori i miei coltelli giapponesi, oppure quello di ceramica e comincio ad affettare cercando il più possibile di fare fettine regolari, cubetti o striscioline che siano è il rumore del coltello combinato a quello della verdura che mi esalta. Ogni verdura fa un rumore particolare tutto suo: le patate fanno un rumore fondente, le carote e il sedano due tloc tloc completamente diversi, la carota sordo mentre il sedano scrocchiante ritmato, forse per via delle costine, la verza un bel scric scric pieno e soddisfacente, allegro e un po' confusionario. Forse è per questo che in tutti i popoli della terra le verze si tagliano a striscioline e si fanno in abbondanza, per il loro suono é qui la festa? che fanno. 
Un'altra cosa che mi da grande soddisfazione cucinando è preparare più ricette contemporaneamente perché condividono alcuni ingredienti. E questo con le verdure succede spessissimo, mentre riduci a dadolini il sedano per il soffritto, ne sgranocchi un pezzo, e ne affetti longitudinalmente un altro per una insalata catalana...
Così l'altra sera ho iniziato ad affettare e suddividere nelle due ciotole di fronte un cipollotto. Lo bagno con un pochino di aceto di mele, così risulterà più digeribile. In una ciotola aggiungo un po' di tonno, nell'altra del peperone che ho tagliato a quadretti e lo mescolo per fargli prendere un po' di aceto.
In un pentolino si stanno scaldando un mestolo di fagioli corona che ho prelevato dal vaso di vetro in frigo, li ho lessati il giorno prima. Nel frattempo ho lavato qualche foglia di verza cappuccio e dopo averle sovrapposte inizio a tagliarle a striscioline. La verza cappuccio aumenta di volume mano a mano che la tagli. Sembra una verdura delle favole, di quelle che non finiscono mai, che più le usi e più crescono. Unisco la verza ai cipollotti e peperoni, e affetto anche qualche fetta di pomodoro cuore di bue bello maturo. Cospargo i pomodori con una presa di sale, metto un filo di olio extra vergine di oliva e l'insalata fresca è fatta. 
Nella ciotola dove aspettano il cipollotto e il tonno, aggiungo il mestolo di fagioli caldi, li spolverizzo con una bella macinata di pepe nero e un giro di olio. E anche l'insalata tiepida è pronta.
A tavola mi gusto le due insalata prelevando alternativamente da una e dall'altra. Prima di girare quella con il cavolo cappuccio ho tolto il pomodoro, era così bello che alla fine ho preferito mangiarlo da solo, accompagnato da una fetta di pane rustico. Bello cenare così!











martedì 26 maggio 2020

Il Ragù, una ricetta futurista


Fare il ragù è una esperienza quasi zen, sicuramente rilassante. O perlomeno per me. Principalmente  perché per me è rilassante e catartico tagliare le verdure. Mi piace moltissimo tagliarle mettendole in ordine e compatte, farne dadini regolari. Il rumore del coltello sul tagliere, la cedevolezza di solidità differenti a seconda delle diverse verdure, i dadini che si formano, tutti in fila, come piccoli soldatini.
E poi lo sfrigolio del soffritto, lo schioppettare della carne quando la aggiungi, l'effervescente rumore del vino che evapora, il blop dei pelati, il rumore sordo del cucchiaio di legno che li rompe, densi liquidi, il ribollio sommesso del sugo che si sta formando.
Il profumo paradisiaco che si spande per casa, l'assaggio della lava di carne e sugo, il silenzioso addensamento una volta spento.

Te lo mangi con gli gnocchi o con la pasta fresca, lo metti in un vaso di vetro e poi in freezer per tempi in cui saprai non aver voglia di cucinare, lo tiri fuori in ritardo per farlo scongelare e lo metti a bagno maria in acqua con il vasetto e peschi la carne sugosa e te lo mangi così, con il cucchiaio. Che poi la pasta, se l'avevi già buttata la condisci con il burro o l'olio e la tieni per fare una pasta fredda o la frittata di pasta. 
Il ragù è sempre buono. W il ragù.

giovedì 30 aprile 2020

Pane Rustico con Licoli


E' tempo di fare il pane, usando il mio licoli che ormai vive in frigorifero tutto ansioso di essere utilizzato ogni volta che apro la porta del frigo. E' oggi? sembra dire ogni volta.
...e oggi, E' oggi. 
Quindi tiro fuori il vaso, lo lavoro con la frusta di modo da riunire la parte acquosa alla solida e prelevo il lievito che mi serve, lasciandone nel vaso circa 100 gr. ai quali aggiungo 100 gr. di farina e 130 ml di acqua. Amalgamo con la frusta e rimetto in frigo.
Il licoli prelevato lo lascio a temperatura ambiente un paio d'ore a riprendersi.
Passate le due ore, sciolgo 4 grammi di lievito di birra fresco in poca acqua tiepida e dopo 10 minuti lo aggiungo al licoli e inizio a unire della farina di semola Senatore Cappelli finche il composto risulta avere la consistenza di una polentina morbida. Suddivido a metà e una parte la metto direttamente in una tortiera foderata di carta forno, servirà per fare la focaccia ai porri di cui spiego la ricetta qui.
All'altra metà rimanente aggiungo un mix di farine campagnolo preso direttamente al Mulino Cazzaniga, un pizzico di sale e lavoro l'impasto fino a farlo diventare una palla elastica compatta ma morbida. 


Metto a riposare tortiera e palla nel forno spento ma con la lucina accesa. Per almeno quattro o sei ore.
Dopo questo tempo di lievitazione la palla è raddoppiata se non triplicata del suo volume, l'impasto è soffice e bolloso. E' ora di fare le pieghe, che servono per incorporare aria e far crescere meglio il pane in lievitazione quando sarà nel forno. Tenendo presente che utilizzando il mix campagnolo, un mix di farine integrali e semi, il pane non crescerà comunque troppo. 
Come si fanno le pieghe? Con le dita leggermente unte di olio prendo un lato della massa e tirandola verso l'alto estendo la pasta, e la ripiego su se stessa, giro il contenitore di un quarto di giro e rifaccio lo stesso movimento, per 4 volte ogni volta girando di un quarto di giro. Ottenendo così di nuovo una palla molto più morbida, attenzione non va schiacciata, lo scopo è di tenere quella bella consistenza bollosa. giro a testa in giù la palla, così che le pieghe rimangano sotto. 
Questa procedura deve essere ripetuta per tre volte a distanza di mezz'ora circa l'una dall'altra. Quando procedo all'ultima piega, metto la pagnottella direttamente sulla placca del forno, foderata con carta forno. Ogni volta tra una piega e l'altra rimetto in forno con la lucina accesa. Passata mezz'ora dall'ultima piega, tolgo la placca dal forno e lo accendo, a 220 gradi e posizionando un pentolino pieno di acqua nel forno. 
L'impasto della focaccia, lo tengo da parte in zona fornello, coperto con uno strofinaccio, di modo da sfruttare il calore che sale per farlo lievitare ancora un po'. 
Quando il forno ha raggiunto la temperatura inforno il pane, non prima di aver inciso con un coltello molto affilato, dei tagli sulla superficie. Ci faccio anche la mia sigla MK.


Dopo un'oretta scarsa il pane è cotto, lo sposto su una gratella e lo faccio raffredare. Non è lievitato tantissimo ma tagliando una fetta e schiacciandolo tra le dita è morbido ed elastico, con una alveolatura piccola ma sufficiente per questa tipologia di pane rustico. Il profumo è ineffabile e il sapore spiccato nonostante il pochissimo sale che ho messo. La crosta croccante. Tenuto coperto con un panno di lino e riposto nel forno (spento) nei giorni seguenti, è durato più giorni. Sarebbe durato di più ma è altamente assuefacente e finisce prima di accorgersi che sta diventando duro. 
Per non far andare il forno oltre misura dopo la prima mezz'ora di cottura del pane, ho abbassato la temperatura a 200 gradi e dopo circa dieci minuti ho infilato anche la focaccia, che in un quarto d'ora, venti minuti si è cotta a puntino. 
Tolto il pane e la focaccia, ho abbassato il forno a 180 gradi e ci ho cotto anche una torta molto semplice, tipo margherita. E' salita in un lampo e ho dovuta controllare attentamente affinché non bruciasse, perché il forno era ancora più caldo del dovuto. 

domenica 12 aprile 2020

Pomodorini Confit una Ricchezza a Portata di Mano

E' stato qualche anno fa che per la prima volta ho assaggiato dei delicatissimi ravioli ripieni di branzino, conditi semplicemente con pomodorini confit.
Ero a pranzo da una amica e tira fuori dal forno questa teglia da cui prende dei pomodorini appassiti e molto semplicemente li unisce a dei ravioli freschi.
A distanza di anni ricordo ancora il sapore, delicato e nello stesso tempo spiccato. Mi ero ripromessa molte volte di provare a farli e ora, complice la quarantena e un meccanismo virtuoso di mostrare cosa si cucina, anche solo per se stessi, senza lasciarci abbattere nell'umore, la mattina di Pasqua, mi sono messa, di buon ora, a sperimentare.
Il forno in questi giorni è andato molto spesso, per via dell'esubero di licoli in via di creazione, e che va tolto ad ogni rinfresco. Così tra pizza, focaccia, e un pandolce con mele e uvetta, nei tempi di lievitazione ho infornato i pomodorini, così da sfruttare il calore diffuso intorno alla cucina per far lievitare una focaccia. Per la ricetta della focaccia e del pandolce, vi rimando ai prossimi post, per quello della pizza con esubero, è nel post precedente a questo, sotto forma di Instarecipe, quelle ricettine veloci e sprint, che pubblico sul mio profilo Instagram e che richiamo qui.

Ma veniamo ai pomodorini confit. Confit, cioè canditi dal francese, perché cuocendo a bassa temperatura con una serie di ingredienti, tra cui lo zucchero, vengono essicati ma morbidi e soprattutto dolcissimi.
Il procedimento è semplice: si accende il forno ad una temperatura non superiore ai 140 gradi, togliendo la placca che ci servirà per mettere i pomodorini. Sulla placca ho srotolato un po' di carta forno e l'ho unta leggermente con un pochino di olio di oliva extra vergine di oliva. Ci ho disposto i pomodorini, vanno bene i datterini o i ciliegini, tagliati a metà per il lungo e posizionati con la parte tagliata a faccia in giù sulla carta oleata.
Siccome mi era rimasto dello spazio, ho tagliato a rondelle di circa 3 mm di altezza, una cipolla rossa di Tropea. Ho spolverizzato con origano, perché non avevo il timo che sarebbe più indicato, un pizzico di sale, e ho sbriciolato dello zucchero grezzo di canna, in assenza dello zucchero a velo della ricetta originale. Tra un pomodorino e l'altro, ogni tanto, ho infilato un filetto di spicchio d'aglio. Un filino di olio di oliva extra vergine e informato per un' ora, o comunque fino a che i pomodorini non sono grinzosi ma ancora polposi sotto. Si devono asciugare sfruttando il succo acidulo e zuccherino, aiutato dallo zucchero aggiunto, e candire. Le cipolle abbrustoliscono più in fretta, ma sono buone anche così, un po' secche. L'aglio era anche lui delizioso.
Passata l'ora, si toglie la teglia dal forno e si possono utilizzare subito per condire una pasta o una bruschetta, o sopra una insalata sfiziosa. Altrimenti si radunano in una ciotolina e si possono conservare per dopo o per un aperitivo finger food. In frigorifero durano due o tre giorni. Ma sarà difficile verificarlo, perché finiscono prima.
Io ne ho usati un po' per una bruschettina la sera di Pasqua, e per condirci degli spaghetti artigianali trafilati al bronzo, il Lunedì di pasquetta a pranzo.
Ne ho sparso anche qualcuno sull'insalata greca che avevo come verdura e hanno dato un tocco particolare sposandosi con la feta, che non ha fatto rimpiangere l'assenza delle olive kalamata.
E' una preparazione versatile, che non richiede particolare capacità, e che dona ricchezza di gusto ad ogni piatto a cui si accompagna.
Una ricchezza possibile grazie ai prodotti eccellenti che solo in Italia abbiamo.

mercoledì 30 dicembre 2015

Dalle Ande al Tirolo passando dalla Svezia giù per l'Olanda


Sono sempre stata attratta dai cibi naturali, i chicchi dei cereali, i cibi etnici, alternativi ai carboidrati e che maggiormente vengono serviti come piatto unico.
Nello stesso tempo, spesso, all'attrazione seguiva la delusione, cous cous che sanno di cartone, granaglie ostiche alla masticazione e poco malleabili nell'assorbimento dei condimenti...semi così minuscoli da non dare soddisfazione ne nello scrocchiare sotto i denti, ne nell'accarezzare il palato con consistenze vellutate.

Poi la vigilia di Natale, a cena da amici, provo per la prima volta la Quinoa. Condita semplicemente con zucchine e gamberi, la Quinoa mi ha affascinato. Un sapore gradevole, una palatabilità estrema, morbida e gustosa, senza retrogusti strani.

Così, dopo averne studiato le proprietà, adatta ai celiaci, altamente proteica e saziante, senza l'effetto rebound degli amidi, che dopo due ore hai ancora una fame che ti sbraneresti il tavolo, dopo aver sfogliato qualche ricetta, vedendo che ha la versatilità del riso, ne compro due pacchetti, tricolore e normale.

Estremamente rapida da preparare, altro punto a favore, come il riso thaibonnet o jasmine, in 10 minuti è pronta, cucinata per assorbimento. Non vuole sale nell'acqua (ottime notizie per la pressione alta e la ritenzione idrica), si insaporisce semplicemente, calda o tiepida, con verdure e condimenti di tutte le stagioni.

Ho preparato la tricolore. Metto un bicchiere di Quinoa e due di acqua, porto a bollore e abbasso la fiamma. Dopo 10 minuti spengo e lascio riposare, l'acqua rimasta verrà assorbita, gonfiando i semi e rendendoli morbidi e traslucidi. Aggiungo solo un pochino di olio extra vergine di oliva.
La base è pronta. Avevo una cipolla di Tropea e un pomodoro cuore di bue, che ho rosolato leggermente in padella, con erbe aromatiche fresche e una foglia di alloro.
Manteco la Quinoa con il sughetto di pomodoro e cipolla e, non avendo altro in casa, aggiungo un po' di tonno sgocciolato sommariamente del suo olio.
Sul fondo della ciotola in legno ho disposto del prezzemolo tagliuzzato grossolanamente un bel mazzo, compresi i gambi, Mescolo il tutto e lascio riposare mentre mi gusto un po' di brodo caldo del minestrone dell'altro giorno.
Preparo come accompagnamento due fette Surdeg råg della Wasa, fatte con segale e lievito madre, ci adagio sopra delle fettine di carré magro Tirolese, e una fettina di formaggio Maasdam.
Il carré è uno speck magro, affumicato, io adoro il gusto affumicato anche se non lo digerisco molto, il formaggio Maasdam, una specie di groviera con i buchi, dal sapore delicatissimo, prodotto in Olanda, mitiga il gusto affumicato e si sposa con la croccantezza della fetta del pane Svedese.

Ho fatto mezzo giro del mondo in un piatto, come piace a me.
E ho gustato tutto fino all'ultimo morso.



La sera dopo, ne ho fatto un tortino, servito a temperatura ambiente, per la cena dell'ultimo dell'anno.